
Come mai una
mostra di Sumi-e a Ginosa? L’idea è partita da Cosimo Vavallo, socio dell’ass.
cuturale “L’atelier Arte” che aveva invitato l’artista a Matera per un’altra iniziativa,
il quale, da ginosino, ha voluto portare un pizzico di arte nella sua comunità.
Dietro questa generosità intellettuale, la Pro Loco ginosina e la Direzione
dell’Istituendo Museo Civico, con il patrocinio morale del Comune. “Sfogliando
al contrario il catalogo di questa mostra – ha affermato Vavallo – è
emozionante, per me, leggere che il primo appuntamento di una personale di
Bonnefoit per il 2009 si svolge nel Museo Civico di Ginosa, nonostante per
realizzarlo io abbia dovuto superare una sorta di corsa ad ostacoli” anche se
dopo queste parole è pesata ancora di più l’assenza degli amministratori locali.
La mostra del
pittore parigino Bonnefoit, che dal 1963 trascorre molti mesi all’anno in
Italia nello studio in Toscana che comprò per pochi soldi da una donna che
incontrò fortuitamente in treno, come raccontato dallo stesso, si intitola
“Sumi-e”, sintesi di due termini giapponesi: “sumi”, “inchiostro nero” mentre
la “e“ intende la “pittura”. Conversando con il pittore francese si apprende il
vero significato di un’arte lontana dal comune sentire il figurativo. Si scopre
così la spiritualità di questa tecnica pittorica. Se l’Italia e la pittura
senese hanno delineato, anche grazie all’amore di Bonnefoit per Modigliani, il
primo impatto con i nudi ed il loro significato essenziale, altro maestro
fondamentale per la crescita di Alain è stato Sugyama-yu, pittore e
calligrafista giapponese, col quale è nato un sodalizio molto forte. Bonnefoit,
infatti, dal suo soggiorno durato un mese nel 1975 in un tempio giapponese,
ogni anno torna in Giappone “come uno scolaretto”, ha affermato sorridendo il
curatore della mostra Coretti, per continuare i suoi studi calligrafici, altra
passione dell’artista parigino appresa dal suo primo maestro di arti marziali.
Per apprezzare
le opere del maestro, occorre intendere la filosofia del “Sumi-e”, ecco perché
Coretti nel suo intervento durante l’inaugurazione dell’esposizione, ha voluto
spiegare alcuni tratti distintivi di questa tecnica pittorica: “…sobrietà e
spontaneità, innanzitutto, abbandono di ogni dettaglio superfluo. Basti pensare
che il “ sumi – e” è stato introdotto in
Giappone dai monaci Zen. Come per questa filosofia anche per il sumi-e i
ritocchi, gli abbellimenti in realtà non arricchiscono l’opera ma ne
intorbidano la verità naturale”. Una ricerca filosofica della vera essenza
delle cose, come affermato da Bonnefoit, il quale ha voluto far proprio un
detto di un artista giapponese definito il “vecchio pazzo del disegno”,
Okusawa, il quale sosteneva che a 100 anni gli sarebbe bastato segnare un punto
con il pennello per intendere quello che voleva rappresentare. L’essenzialità
delle linee dei quadri di Bonnefoit rimanda a quella idea, ed importante per il
pittore è l’armonia che si crea con le modelle che di volta in volta si
appresta a fermare con la sua maestria. “Per dare vita alle mie opere è
necessario un momento preliminare per la preparazione dell’inchiostro ma anche
di meditazione, per allontanare tutto quello che non serve in quel momento alla
mia mente. Numerosissime sono le mie prove ed i fogli che getto, ma alle volte
basta un momento, uno sguardo, e pare che si realizzi quell’intesa tanto che la
modella avverte come se la carezzassi con il pennello. Così creo l’opera”. Come
per l’arte calligrafica, l'artista prepara l’inchiostro, il sumi, polverizzando
delle barrette contro un'apposita pietra mentre i pennelli sono simili a quelli
per la calligrafia e producono effetti diversi. Un’arte che potrebbe essere
definita povera, che suggerisce più che rappresentare e che dopo il primo
impatto sensuale rimanda direttamente all’essenza di colui che la realizza.